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Il mio approccio alla cura del Cancro

Il mio approccio alla cura del Cancro

Il mio approccio alla cura del Cancro

Il cancro è una malattia che comporta un sicuro sconvolgimento della sfera psicofisica della persona colpita, ma bisogna fermarsi un attimo e capire meglio il motivo.

Spesso viviamo ciecamente non pensando che ci possa succedere qualcosa di grave: leggiamo quotidianamente cattive notizie sui giornali ma ci appaiono come cose lontane che non possono accadere a noi perciò siamo impreparati e nel panico.
Questo atteggiamento psicologico nasce da una distorta visione del problema.

Premesso ciò, cerco in parole povere di darvi delle nozioni per poter capire e gestire i consigli che altri possono darvi.
Queste sono le parole che quasi sempre il malato o i suoi familiari si sentono dire al primo consulto.

“Male incurabile, non c’è nulla da fare, restano pochi mesi, qualsiasi cosa faccia le statistiche sono sfavorevoli, etc.”

Potete immaginare quindi come il paziente e la sua famiglia affronteranno il proseguo delle cure: scarsa convinzione nel sottoporsi alle terapie, massima sfiducia perché nella loro percezione chi le consiglia ha già comunque emesso una sentenza.
Spesso coloro che deontologicamente dovrebbero cercare soluzioni e ottimizzare i trattamenti si arrendono ancora prima di cominciare, vedono una sola via attuabile perché l’unica loro possibile. Alcuni pazienti si sentono dire che hanno una aspettativa di vita breve che non giustifica i costi elevati di una terapia: ASSURDO ma vero.

Questo è uno dei motivi che li fa emigrare all’estero o in cerca di cure alternative spesso avventate ma vissute comunque come una eventuale soluzione nei confronti della nostra medicina che, per incultura, ottusità o risparmio economico non offre soluzioni.

Il compito di un medico è inquadrare il problema e rendere edotto il paziente delle varie soluzioni terapeutiche con i pro e i contro in modo che il paziente apprenda notizie e possa partecipare alla sua terapia affrontandola con convinzione.

La gente aspetta soluzioni e non sentenze.

Ed ancora, quante volte ci si nasconde dietro la frase “accanimento terapeutico”, ma quali sono i limiti del termine accanimento?
Potrei raccontarvi di pazienti con neoplasie con metastasi epatiche ossee, epatiche e cerebrali vivi e vegeti da anni, cosi come di piccoli tumori che non rispondono a nulla.
Quindi ciò vuol dire che ogni paziente, anche se compromesso, ha diritto ad un programma terapeutico perché unico ed irripetibile nella sua biologia fisica, con una sua volontà e una sua individuale risposta terapeutica che non possiamo valutare a priori. Possiamo invece curare la gente cercando di far loro vivere una vita qualitativamente buona, costi quel che costi, è un nostro dovere il cercare soluzioni, ottimizzare trattamenti senza alcuna coercizione e non dando sentenze a priori.

Seguire questo racconto simbolicamente descrittivo del percorso individuale di cura:

Immaginiamo di stare sotto un albero e su quest’albero vi è un nido di api (il tumore). Molte api girano intorno a noi (le metastasi) : è evidente che la prima preoccupazione sia quella di distruggere le api intorno a noi ( chemioterapia , anticorpi monoclonali , ormonoterapia etc) e successivamente passiamo ad occuparci del nido (chirurgia radioterapia etc).
A questo punto dovremmo anche considerare azioni affinché il problema non si ripresenti (sorveglianza immunostimolatori etc).
Questo programma sembra semplice a dirsi ma non sempre porta ai risultati desiderati: ecco perché le soluzioni terapeutiche e noi stessi dobbiamo dinamicamente esser pronti a modificare gli atteggiamenti terapeutici.
La malattia ha una sua sconosciuta dinamica e noi dobbiamo essere pronti.

Spesso se un markers (marcatore tumorale) sale e sale ci si sente dire: “ma ancora non è visibile nulla, aspettiamo”. A mio personale avviso un radar (markers) ci avverte che se continuiamo su quella rotta andiamo dritti sullo scoglio e quindi dobbiamo cambiar rotta prima e non solo quando siamo ormai in collisione con lo scoglio.
Ecco cosa intendo quando parlo di cultura terapeutica: affrontare il problema e cercare la soluzione senza farsi vincere dal pessimismo, giocarsi la partita convinti che si possa vincere e non partire battuti.
È evidente che le partite si possono perdere ma non partiamo battuti.

Ultima considerazione: si dice che il cancro non sia curabile: anche se fosse vero per alcuni tumori attualmente comunque la terapia può farlo regredire, tenere a bada permettendo una vita di qualità ma soprattutto permettendo alla scienza di mettere a punto soluzioni che magari risolveranno il problema in un prossimo futuro in cui potendoci essere magari riusciremo ad avere accesso ai nuovi rimedi